Internescional #5

Lettera aperta del Ministro dell’energia inglese Milliband

Sappiamo di dover agire sui cambiamenti climatici, ma come? Con il chiarirsi delle informazioni scientifiche, mentre assistiamo agli effetti dei cambiamenti non nel futuro, ma proprio qui e ora, con le emissioni mondiali in continua crescita, i paesi del mondo sono alla ricerca di nuove strategie. Ognuno di noi può imparare dagli altri.

Nel Regno Unito ci siamo impegnati a costruire di un futuro a basso tenore di carbonio. Una legge sui Cambiamenti Climatici, la prima nel suo genere, significa che le emissioni di gas serra devono essere ridotte per legge dell’80% entro la metà di questo secolo.

L’impegno riconosce la necessità immediata di un’azione per affrontare un cambiamento di questa portata. Quindi, avviandoci verso il 2050, ci saranno “budget del carbonio” per ogni quinquennio che, come la scadenza del 2050, saranno vincolanti per legge.

C’è chi ha già obiettato che, in tempi duri per l’economia, dovremmo fare marcia indietro sui nostri obiettivi in fatto di cambiamenti climatici. In realtà, pur se sono naturalmente possibili dei compromessi, esistono anche soluzioni comuni ad entrambi i problemi: misure di risparmio energetico per le famiglie che riducono consumi ed emissioni, nonché investimenti in nuove industrie ambientali che migliorano la sicurezza energetica mentre riducono la nostra dipendenza dai combustibili inquinanti.

D’altra parte, un ritardo in questa direzione non farebbe che rendere più costoso intervenire e, nel lungo periodo, sappiamo che i costi dell’inazione sui cambiamenti climatici superano i costi dell’azione.


Dato che continueranno sempre a gravare pressioni urgenti sui politici del momento, nella legge adottata nel Regno Unito è stato inserito lo specifico impegno a farsi guidare dalle situazioni reali. Una Commissione indipendente sui cambiamenti Climatici ci ha consigliato l’obiettivo dell’80% in base agli ultimi dati scientifici, ai rapporti ONU ed alle consultazioni con esperti nazionali. Continuerà ad offrire la propria consulenza su ciascun budget del carbonio negli anni che ci dividono dal 2050, e farà ciò pubblicamente, in modo che i futuri governi saranno tenuti a spiegare le ragioni di un’eventuale mancata applicazione delle raccomandazioni.

Siamo orgogliosi della nostra legge sui Cambiamenti Climatici. Stiamo esaminando in che modo il Regno Unito possa fare la sua parte “in casa”. Siamo inoltre pienamente coinvolti nel più ampio ed ambizioso sforzo europeo. Diamo il nostro deciso sostegno all’obiettivo della Presidenza francese di concludere un accordo definitivo sul pacchetto Clima ed Energia del 2020 nel mese di dicembre. Attuando gli impegni politici assunti dagli Stati Membri nel 2007, l’Europa deve dimostrare una forte leadership mentre i negoziati internazionali sul clima entrano in una fase cruciale.

Sappiamo però che i governi da soli non sono in grado di operare questo cambiamento. Per le aziende, la riduzione delle emissioni di carbonio deve diventare una parte necessaria della propria attività. Riferire sul proprio impatto legato al carbonio è un inizio e, per le grandi società, prevediamo di renderlo obbligatorio dal 2012 con sollecitazioni continue a migliorare progressivamente la propria performance energetica e ambientale. Per le collettività, i gruppi confessionali ed i gruppi ambientalisti, rimane necessario premere in direzione del cambiamento.

Sappiamo inoltre che, anche se la determinazione nei confronti del cambiamento deve nascere a livello nazionale, essa non si può esaurire in tale ambito: abbiamo bisogno di un accordo mondiale.

Il mondo si riunisce il prossimo mese in Polonia e il prossimo anno in Danimarca. Il cammino di avvicinamento a Copenhagen passa per il mandato italiano di presidenza del G8, per cui nel prossimo futuro sarà particolarmente importante il ruolo dell’Italia sul dossier clima.

Con paesi che condividono idee ed ispirazioni, con governi e collettività che si stimolano a vicenda, sono convinto che potremo arrivare ad un accordo nel 2009 e che potremo porre le basi necessarie per creare un mondo a basso tenore di carbonio.

Altro che Obama… mi accontenterei già di uno così… 😉

il ventennio del cavaliere…

Pubblico (tratto da Repubblica) una parte dell’introduzione del libro “Lo Statista. Il ventennio berlusconiano tra fascismo e populismo.” di Massimo Giannini (che vi invito a leggere) appena uscito in libreria.

“I codardi della radio e i teppisti miliardari dell’editoria controllata dalla Casa Bianca della banda di Lindbergh dicono che Winchell è stato licenziato per aver gridato “al fuoco!” in un teatro affollato. Signor New York City e signora, la parola non era “fuoco”. Era “fascismo” che Winchell ha gridato. E lo è ancora. Fascismo! Fascismo! E io continuerò a gridare “fascismo” a ogni folla di americani che riuscirò a trovare finché il partito del tradimento filo-hitleriano di Herr Lindbergh non sarà espulso dal Congresso il giorno delle elezioni”.

Non so dire bene il perché. Ma quando ho cominciato a pensare a un libro su Silvio Berlusconi le prime immagini che mi sono venute in mente sono state quelle descritte da Philip Roth nel suo Complotto contro l’America, il racconto fanta-politico su Sir Charles Lindbergh che vince le elezioni del 1940 al posto di Roosevelt facendo precipitare gli Stati Uniti e il mondo intero nell’incubo. Grande aviatore e trasvolatore di oceani, ovunque atterri con il suo mitologico Spirit of St. Louis trova ad aspettarlo i reporter dei giornali e migliaia di cittadini radunati per vedere e acclamare il loro giovane presidente, con la sua famosa giacca a vento e il caschetto di pelle da aviatore.

Il romanzo di Roth è un affresco superbo sul declino di una nazione assuefatta. Sulla sua progressiva caduta di attenzione sociale e di tensione morale. Questione di luoghi, questione di simboli. Il Palazzo romano al posto di Washington. L’Italia profonda al posto dell’America. Il predellino di una Mercedes al posto della cabina di un monoplano. Il doppiopetto al posto della giacca a vento. O la bandana al posto del caschetto. Non so perché. Ma per quanto ardita e fantasiosa, la comparazione mi ha convinto. Ho cominciato a scrivere. Stimolato anche dalle amare riflessioni di un Grande Vecchio della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi: “Gli italiani sono presi da una strana cupidigia di servitù. E più Berlusconi straccia il tessuto istituzionale, più loro chiedono di essere servi”. Non è una bella immagine. Ma purtroppo è drammaticamente vera.

La prima tesi di questo libro è che il Cavaliere è ormai uno Statista. Tra i peggiori della storia patria. Ma un vero Statista, che ha saldamente in mano il destino della nazione… Tra cinquant’anni, quando saranno finalmente spurgati gli ultimi liquami ideologici dell’estenuante Novecento italiano, gli storici si affacceranno sull’abisso della Prima Repubblica e dovranno riconoscere che tutto quello che è venuto dopo (si tratti di Seconda, di Terza o di Nessuna Repubblica) si chiama Berlusconi. Quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo dal 1994, con qualche marginale intermezzo, è a tutti gli effetti il Ventennio berlusconiano.

Non c’è vizio privato o virtù pubblica, carattere culturale o ethos popolare, che l’uomo di Arcore non abbia saputo al tempo stesso anticipare o amplificare, in un vorticoso e a tratti misterioso gioco di specchi in cui alla fine era ed è sempre più difficile distinguere chi riflette che cosa. Con il terzo trionfo elettorale del 2008, Berlusconi si è ripreso definitivamente l’Italia… e come il fascismo per Piero Gobetti, anche il berlusconismo ha finito per trasformarsi davvero in un’altra “biografia della nazione”…

Lo dice lui stesso, alla costituente del Pdl: “Il nostro non è soltanto un nuovo partito, è la nuova Italia. E’ una grande forza politica che riunisce tutti gli italiani che non si riconoscono nella sinistra e che ci hanno fatto conoscere la loro volontà alle ultime elezioni”. Nulla da eccepire: quando ha ragione, ha ragione…
La seconda tesi di questo libro è che quella italiana è ormai una democrazia in profonda trasformazione. Lo Statista sta trascinando l’Italia su un terreno che definirei “post-democratico”, secondo la formula coniata da Colin Crouch… Non è una dittatura in senso classico, ma sicuramente una democrazia “nella sua parabola discendente”.

Ma discendente verso cosa? Il punto di caduta di questa deriva italiana è una forma moderna di “totalitarismo” post-ideologico, inteso in senso tecnico e filosofico. L’Italia è troppo disincantata per incappare in un vero “regime” in cui siano conculcate le libertà fondamentali… La posta in gioco è un’altra. E’ una nuova, subdola ma comunque pericolosa forma di egemonia politico-culturale. E’ lo svuotamento e il depotenziamento dei “luoghi” nei quali si sviluppano una riflessione oppositiva e una visione positiva sull’Italia che c’è e su quella che ci vorrebbe.

E’ l’assenza di poteri autonomi che bilanciano lo strapotere dell’esecutivo, dalle istituzioni all’establishment economico-finanziario, ridotto a un puro ruolo di vassallaggio, ricattato e ricattabile attraverso il meccanismo incestuoso delle concessioni governative e il circuito perverso del finanziamento bancario.

E’ lo sgretolamento dei contenuti della politica, lo smantellamento sistematico della verità dei fatti, il disfacimento scientifico del linguaggio, che trasforma l’informazione in “rumore bianco”, ininfluente e inascoltabile, e omogeneizza tutto, il consenso e il dissenso, nel frullatore dell’assenso… Fareed Zakaria, nel suo Democrazia senza libertà teorizza l’esistenza delle “democrazie illiberali”, che combinano elezioni e autoritarismo. “Spesso, i governi democratici rivendicano una sovranità, ovvero un potere assoluto, e questo determina un eccessivo accentramento dell’autorità, non di rado mediante mezzi extracostituzionali e con esiti non sempre apprezzabili.

Ne deriva una forma di governo non troppo diversa da una dittatura, nonostante la maggiore legittimità”. Non so perché. Ma ancora una volta questi ragionamenti mi fanno pensare alle cose che succedono dalle nostre parti.

La terza tesi di questo libro è che lo Statista va ormai preso sul serio. Nel suo “ramo” è davvero il “professionista” migliore su piazza, e non può più essere trattato come un fenomeno da baraccone. E il suo governo di destra dura e pura riflette inevitabilmente la “vocazione totalitaria” di chi lo guida, ma sta dicendo e facendo cose che piacciono agli italiani… Dice Giulio Tremonti, ideologo della maggioranza: “L’Italia è un Paese sostanzialmente di centrodestra. C’è stata una maggioranza di centrodestra, c’è e ci sarà. Il problema è dare una rappresentanza a questa massa maggioritaria di voti”.

Sono convinto, a malincuore, che il superministro dell’Economia abbia ragione… Il conflitto di interessi è e resta senz’altro “un” problema. Ma non è più “il” problema. Quello che Umberto Eco aveva definito a suo tempo “cesarismo elettronico”, come cifra del nuovo potere berlusconiano, è oggi solo il corollario di un epifenomeno politico e sociale molto più radicato e complesso… Ormai non è più vero quello che scrisse una volta Furio Colombo, e cioè che siamo al cospetto di “un leader elettronico che non ha un popolo, ma un pubblico di spettatori”.

La novità di questa terza reincarnazione berlusconiana è che il leader non è più solo “elettronico”, ma si è fatto compiutamente “politico”. E soprattutto non ha più solo “un pubblico”, ma ormai si è costruito anche “un popolo”…

La quarta tesi di questo libro è che il berlusconismo ha davvero alcuni tratti in comune con il fascismo. La contiguità, e la continuità, non è ovviamente con un regime inteso come struttura violenta e repressiva. Ma come sovrastruttura politica, sociale e culturale incline ad un autoritarismo e un plebiscitarismo che oggi possono spaventare molti di noi, ma che incontrano il favore della gente. Niente succede per caso. Ci sarà un motivo se fino ad oggi, nonostante un’episodica eccezione nell’ultimo 25 aprile, lo Statista non è mai riuscito a dichiararsi apertamente e serenamente “antifascista”.

Ci sarà un motivo se oggi ci sono sindaci che rivalutano il Ventennio e ministri che celebrano Salò. Ci sarà un motivo se un gruppo di giovani squadristi neofascisti fa irruzione negli studi Rai di via Teulada per una “spedizione punitiva” contro un programma televisivo. E ancora, ci sarà un motivo se oggi, 27 anni dopo la scoperta della famosa lista nella villa di Castiglion Fibocchi, rispunta fuori Licio Gelli, addirittura in un suo spettacolo in tv: “Sono nato sotto il fascismo, sono fascista e morirò fascista… L’unico che può portare avanti il Piano di rinascita democratica è Berlusconi”.

Nessuno, e io meno che mai, pensa per questo che il premier non rappresenti il governo legittimo del Paese, democraticamente eletto dagli italiani… Ma la consapevolezza di quella legittimità formale non deve impedire di constatare, e soprattutto di contestare, l’inammissibilità sostanziale di molte enunciazioni e di molte decisioni. Per lo più illiberali, a volte persino incostituzionali… Paragonare il Ventennio del Cavaliere al Ventennio del Duce non è un reato.

Tanto più che adesso è lo stesso Statista ad autorizzare il confronto, scherzando con i cronisti: “Con altri cinque anni arrivo a 19 anni di attività politica. Quanti ne mancano, per arrivare a quello lì?” Eppure, ancora una volta, c’è poco da scherzare. Leggo da Democrazia e dittatura, scritto nel giugno 1934 da Gaetano Salvemini: “Il leader di una democrazia dice ai suoi avversari: “Credo di avere ragione, ma potrei aver torto; fatemi provare a vedere quali sono i risultati pratici delle mie azioni. Se saranno negativi, allora avrete la vostra occasione”. Il dittatore dice: “Ho ragione io, e i risultati della mia attività saranno sempre buoni”; “o con me o contro di me”; “tutto dentro lo Stato, niente fuori dallo Stato, niente contro lo Stato”; “lo Stato sono io, chi si oppone allo Stato è un fuorilegge””. Vedete voi, sulla base di quello che dice e che fa, dov’è più giusto collocare il nostro presidente del Consiglio.

Internescional #4

…news dalla Gran Bretagna…

Il governo alla ri..scossa

Varato un piano per 20 milioni di sterline per l’equipaggiamento del governo britannico con auto elettriche. Alcuni ministri, compreso quello per l’ambiente, hanno gia’ in dotazione auto con motore ibrido benzina/elettricita’. Il  nuovo piano prevede l’allargamento della flotta elettrica a tutto il governo e a diversi enti e soggetti della pubblica amministrazione tra cui:  Metropolitan police, Royal Mail (le poste) e i rappresentanti dei councils ( le regioni). La macchina elettrica allo Stato fa parte di un progetto molto piu’ ampio che destinera’ circa 100 milioni di sterline al perfezionamento e l’implementazione del sistema delle auto elettriche e veicoli a bassa emissione di CO2 in tutta la Gran Bretagna.

“Non ho fatto una bella figura, scusatemi…”

George Osborne, parlamentare dei Tories ( la destra inglese), ha rilasciato un’intervista in merito a un suo incontro privato con un magnate russo, Oleg Deripaska. L’accusa che gli e’ stata rivolta per diversi giorni e tramite tutte le maggiori testate britanniche e’ quella di aver personalmente contattato e intrattenuto rapporti amichevoli con il riccone russo allo scopo di ricevere fondi per il partito. Nel Regno Unito non e’ illegale ricevere fondi per I partiti, purche’ siano riconducibili a societa’ iscritte nel registro delle imprese inglesi. Al di la’ del fatto, che apparentemente non sussiste visto che Osborne ha negato e provato di non aver acquisito alcun capitale, la morale della favola sta nelle parole che il parlamentare ha detto durante l’intervista a Radio 4: “Credo di aver fatto un errore. In politica non e’ solo una questione di quello che si dice e si fa, ma e’ anche importante come le cose appaiono…e devo essere onesto, non c’ho fatto una bella figura. Me ne dispiaccio”.
A prescindere dal valore che si da’ alle chiacchiere…l’umilta’ di riconoscere di aver sbagliato e’ gia’ qualcosa.

Lo stato investe in tempi di crisi, ma allora sono matti?

Negli ultimi giorni ho piu’ volte letto commenti sulla scarsa lungimiranza di un governo che taglia la spesa pubblica proprio in un  periodo in cui recessione e inflazione raggiungono picchi da record. In Gran Bretagna lo stato ha deciso di pagare 3,000£ alle scuole che accoglieranno un bambino proveniente dalle localita’ piu’ povere del paese. Cioe’: 3,000£ all’anno per ciascun bambino. In questo modo non solo le scuole delle aree disagiate saranno spronate a una piu’ attenta campagna di sensibilizzazione nei confronti dello studio, ma anche gli istituti delle zone piu’ ricche si sentiranno piu’ motivati ad allargare la propria membership sulla base del valore dello studente, qualsiasi sia la sua provenienza.
Buona idea no?